Relativo al progetto: La Damnation de Faust  

Il Sole 24Ore - Italia - quotidiano

25 Gennaio 2007

Faust incandescente

L’Opera di Berlioz al Teatro Regio di Parma abbaglia per le spettacolari scenografie di Hugo de Ana. Bravissimi gli interpreti, dal tenore Giuseppe Sabbatini al soprano Nino Surguladze

Hugo ha lavorato sodo negli ultimi tempi: ha inventato tre spettacoli, su soggetti diversissimi, declinandoli su un pedale comune, in vertiginoso crescendo di fantasia. La Trilogia di de Ana si è conclusa a Parma, al Teatro Regio, con un “La Damnation de Faust” di Berlioz tanto rivoluzionaria era la concezione della scena, tanto visionari gli effetti del palcoscenico.

Si usciva un po’ stravolti, turbati da visioni  incandescenti, ma anche con una sensazione molto chiara: il regista argentino è il primo, oggi, a misurare il teatro con l’occhio contemporaneo. Non lo rende solo più moderno, certamente più accattivante presso un pubblico giovane.

Quella di Parma è stata una forte, geniale, perfetta provocazione. Non un modello da seguire. Un fischio netto al teatro di belle statuine, buone maniere, sane convenzioni. Hugo è un terribile ragazzaccio, iconoclasta, ma come i migliori maestri del passato, è un maniacale perfezionista. La sua messinscena, firmata come sempre per intero (regia, scene, costumi, luci) in questa recente trilogia (Faust, Scene dal Faust e La Damnation de Faust) si è innamorata di una componente tipica del nostro tempo, la dimensione virtuale.

La scena virtuale, che detta così a parole sembra un noiosissimo tema filosofico, è invece dal vivo un delirio di immaginazione e tecnica. E’ il nucleo interno al quale il regista ha costruito questi tre spettacoli, con la sponda di due geni delle proiezioni, Sergio e Mattia Metalli (padre e figlio, come nei tradizionali mestieri).

De Ana è il più grande barocco contemporaneo: ama la perversione del sacro (e qui il tripudio era nella danza finale dei diavoloni scuoiati, truculenti nel dettaglio, come in certa pittura anatomica, coi membri ben eretti)  e insieme l’oggettività della tecnica. Questa dava vita a un mondo molle in perenne modificazione (le immagini virtuali erano tutti spaccati di Parma o del Teatro, perfettamente riconoscibili e poi giocati in mostruose deformazioni), per cui ad esempio un calice, nella Canzone del re di Tule, diventava mille proiettili sparati in sala.

Orchestra disciplinata, con Michel Plasson, ma ancora una volta, soprattutto ottimo il Coro. A sorpresa, nella tradizionalista Parma, grande successo.

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